Si è concluso con una decisione clamorosa il giudizio di secondo grado del processo “Atlantic city, Reset e Spam”, ovvero le tre operazioni della polizia di Stato che da settembre 2011 a ottobre 2012 avevano portato a Lucera all’arresto di 35 persone con accuse a vario titolo di omicidio, associazione a delinquere, estorsione, violenza e minacce, incendi, danneggiamenti, ma anche favoreggiamento e falso. Questo pomeriggio, dopo oltre tre ore di camera di Consiglio, la corte di Appello di Bari (presidente Raffaele Di Venosa, a latere Antonio Civita) ha emesso una sentenza in cui sono stati assolti tutti gli imputati, e con la condanna a otto anni e sei mesi di reclusione inflitta al soloVincenzo Cenicola. Il 28enne è stato riconosciuto l’autore materiale dell’omicidio di Fabrizio Pignatelli, ma con la modalità preterintenzionale e con la concessione di tutte le attenuanti, oltre all’assoluzione da quasi tutti gli altri reati contestati, visto che restano solo le minacce a due imprenditori con l’incendio di un camion e altre a un commerciante mediante una pistola. In primo grado era stato condannato a 19 anni per associazione a delinquere, omicidio, porto illegale di arma, estorsione, incendio, minacce. La condanna prevede anche le refusione delle spese legali per le due parti civili che figuravano nel processo: i fratelli Gianluca e Lorenzo Capobianco (2.400 euro) e Marianna D’Antini (moglie di Fabrizio Pignatelli per 2.800 euro).
In realtà erano in tutto 19 le persone finite alla sbarra a seguito del processo di primo grado, e per tutti c’è stato il proscioglimento per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, tanto che al termine della lettura del dispositivo c’è stata l’immediata scarcerazione di Antonio Ricci (che da una settimana era finito nuovamente dietro le sbarre su disposizione della Cassazione dopo un periodo di detenzione ai domiciliari), Vincenzo Ricci (domiciliari) e Mario Cenicola (domiciliari) che in primo grado era stato condannato a 14 anni per concorso in omicidio commesso dal fratello.
Assoluzioni, quindi, anche per Paolo Mainieri, Jonathan Ricci, Antonio Petrone, Antonio Cenicola di 67 anni, Michele Cenicola (detenuto con una condanna definitiva a 26 anni per Tornado), Carmela Cenicola e Alberto Checchia.
Confermate inoltre le assoluzioni per i quattro carabinieri rimasti coinvolti nella maxi inchiesta: Luigi Glori, Michele Falco, Giuseppe Sillitti e Giovanni Aidone, assieme a quelle già riconosciute a Maria Ricci, Anna Cenicola, William Ricci e Antonio Cenicola di 40 anni.

Il processo di appello era iniziato il 13 giugno scorso ed è durato solo quattro udienze. Quello di primo grado era cominciato il 28 febbraio 2013 ed è durato sette mesi, con la sentenza emessa il 17 settembre che ha sancito 14 assoluzioni e 11 condanne. La Corte d’appello era stata invocata da una parte degli imputati condannati in primo grado e in parte dalla stessa procura generale che comunque già in sede di requisitoria aveva escluso il riconoscimento dell’associazione a delinquere attribuita a molti di essi, nell’ambito di un quadro accusatorio che aveva teso a ridimensionare la gravità delle accuse mosse dal pubblico ministero Alessio Marangelli, appartenente all’allora procura di Lucera, poi accorpata a Foggia dopo la soppressione del tribunale. Con la sentenza di oggi il castello accusatorio è crollato del tutto, peraltro con il mancato accoglimento di alcune pesanti condanne comunque richieste dal procuratore generale Giuseppe Iacobellis.
Secondo l’accusa, fino al 2011 a Lucera c’erano due gruppi contrapposti che si contendevano il predominio economico della città, con il controllo di alcuni bar e ristoranti come primo terreno di scontro. Da una parte la famiglia Cenicola, con il padre Antonio e il cognato Antonio Ricci, mentre dall’altra parte un sodalizio di persone a cui avrebbero fatto capo Vincenzo Ricci, il figlio Jonathan e Fabrizio Pignatelli. Il fatto più grave resta proprio la morte di quest’ultimo, raggiunto da tre colpi di pistola la sera del 30 agosto 2011 nel suo circolo Atlantic city. Il giovane morì dopo 38 giorni agli Ospedali Riuniti di Foggia e per quell’esecuzione materiale dell’agguato Vincenzo Cenicola, coetaneo della vittima, in primo grado aveva ammesso di aver fatto fuoco, ma solo per difendersi.

Articolo pubblicato su Luceraweb.